The Subways

parte 2

11.11.’11, in un locale a Conegliano.

Con Giuliano e Mauro siamo arrivati veramente presto. Il posto non era ancora aperto e non c’era nessuno se non un buttafuori che diceva che avrebbe aperto dopo circa mezz’ora. Faceva freddissimo e le persone si accumulavano dietro di noi.

Finalmente aprono le porte.

Avevo paura di avere dei problemi con l’accredito ma me la cavai abbastanza bene.

Il locale è molto piccolo e dopo il tempo una birra si era riempito quasi del tutto. Quindi tiro fuori la mia macchinetta fotografica e faccio strada verso il palco. Anch’esso è veramente striminzito e molto basso, giusto ad altezza sotto le ginocchia. La mia preoccupazione più grande era il fatto che non c’era un sotto palco. Spazio vitale tra palco e gente esaltata, per riuscire a sopravvivere.

Mauro mi dice “Vado a fumarmi una sigaretta mi son rotto di aspettare!”. Poco dopo hanno iniziato a suonare il gruppo spalla, che secondo me era un gruppo veramente noioso. Il panico mi è salito, le persone si sono schiacciate tutte verso il palco. Esattamente dove ero io.

Non capivo il perché! Faceva schifo il gruppo!

Non potevo più muovermi da lì. Avrei rischiato, come Mauro, di non riuscire mai più a tornare davanti al palco e poi come sarei riuscita a fotografare quel palco infimo?! Guardo Giuliano e con un gesto delle spalle mi metto a far qualche foto, almeno per passare il tempo durante il concerto di questo gruppo così lagna.

Una mezz’ora e finalmente smettono, qualche minuto per commentarli e far preparare il palco per i Subways.

Al primo accordo c’è stata una spinta generale.

Io penso solo: “Usciamone vivi e con delle foto”.

Prendo la mia posizione un piede sul palco l’altra gamba che fa leva sullo spigolo del palco. Così per quasi tutto il concerto. Tra esaltazione, dolore (cambia gamba), spinte anteriori e un volo sul palco. “Salva la macchina Alice!” l’unica cosa che ho pensato quando mi son ritrovata con gambe incastrate tra altre e l’angolo malefico, culo all’aria e braccio teso verso l’alto per salvarla. Billy Lunn, il cantante, per fortuna ha avuto pietà di me e mi prende il braccio e mi riposiziona nella mia postazione. Era come se fossi quei pupazzi danzarecci, bloccata ai piedi e il resto del corpo che si muoveva a caso.

Il concerto poi è finito, come sempre d’altronde.

Il dolore alle gambe già si faceva sentire, ma non guardo per non sapere.

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