Olympus

parte 2

Recupero tutto (anche Elli) e vado verso il locale. Mi accorgo con estrema simpatia che i gruppi devono ancora arrivare, ma non era un problema, ma il peggio è che il locale era assai vicino alla pista d’atterraggio. in pratica dal parcheggio facevi due passi ed eri sulla pista d’atterraggio. Grandioso poi perché il palco era all’aperto e rivolto verso la pista. Ogni due minuti un aereo che atterrava e un gran casino.

Comunque sia la cosa va avanti. I gruppi arrivano, fanno sound-check ed alzano i volumi per cercare di sormontare gli aerei. La cosa ci aveva visivamente fatto andare via di testa, un momento di piena isteria che si alternava a disperazione e alcool in generale.

La Elli, Marco e Mari cercano di tenermi tranquilla.

Il fatto di avere organizzato un evento che poteva essere una catastrofe mi rendeva del tutto fuori controllo.

Ma per fortuna era il primo, mi consolava come pensiero. Per fortuna pian piano un po di pubblico è arrivato, anche loro un po esterrefatto dalla pista d’atterraggio affianco.

La serata incomincia finalmente ad ingranare. Il primo e secondo gruppo suonano. Non era male ma i miei nervi non erano per niente saldi, è bastata una foto non riuscita per il chiaro scarseggiar di luce sul palco a farmi ritornare la persona più mentalmente squilibrata presente in quel posto.

Mi sono allontanata dalle persone e dal palco. Ho scagliato a terra la mia Olympus. L’ho pestata, calciata e riscagliata a terra. Il tutto tra lacrime di disperazione. Era il mio punto di non ritorno di quella serata iniziata male. Ad un certo punto mi ha raggiunta Alberto, uno dei membri dell’ultima band. Credo di averlo guardato con occhi d’odio e di avergli chiesto: “Che cazzo vuoi?!”. Non so, sinceramene, che cosa lo ha spinto ad abbracciami. Ma ho apprezzato, sopratutto il fatto che si fosse unito a me ad uccidere del tutto la mia povera compattina (senza colpa). Si mise anche lui a calciarla.

Ormai era divisa in molteplici parti.

Quando ormai non piangevo più ma ridevo mentre davo gli ultimi colpi. Credo fosse non tanto perché stavo distruggendo qualcosa, ma per il fatto di liberarmi di cattivi pensieri di quella serata e dall’enorme peso sulle spalle che sentivo. Quando ad un certo punto io e Alberto ci siam mandati una occhiata d’intesa. Ho raccolto il pezzo più grosso rimasto e l’ho gettato con tutta la forza che avevo.

Era buio ma l’ho visto varcare la rete di confine con la pista.

Mi attraversò un brivido freddo sulla schiena.

In quel momento ho realizzato cosa avevo fatto. Oltre il fatto che avevo scagliato un pezzo di plastica e metallo in una pista dove degli aerei ci atterrano. Avevo scagliato via 16 GB di ricordi, la memory card era rimasta dentro la macchinetta fotografica.

Con quello sfogo avevo gettato via ricordi che risalivano a prima della mia partenza.

La partenza dopo un periodo dove mi sentivo decisamente inutile e persa.

Avevo finito da poco le superiori e non sapevo cosa fare. Mi sono iscritta ad archeologia a Padova senza un motivo. Ho fatto solo un semestre dove in realtà dopo poche settimane dall’inizio invece di andare a lezione andavo a Bergamo. Avevo appena smesso di suonare il basso dopo alcuni anni, perché non mi sentivo “appropriata” nel suonare uno strumento. Quando mi son ritirata dall’università ho passato molto tempo isolata, era una sconfitta dovuta alla mia stupidità nel scegliere una cosa che non mi interessava.

Pensavo solo al fatto che come al solito avevo iniziato una cosa che non ho finito. Da lì a poco mi è bastata una chiamata e una proposta e me ne son andata. Sapevo che non era per sempre. Ma mi serviva respirare dell’aria diversa. La Mari di disse che se volevo potevo sostituire la persona che faceva da segretaria e tutto fare nella sua etichetta discografica indipendente.

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